Entro la fine dell’anno Jonathan Ive lascerà Apple. Lo ha detto in un’intervista alFinancial Times , dove ha annunciato anche la nascita di una sua azienda di design, chiamata LoveFrom, che avrà Apple tra i suoi clienti principali. Dell’azienda farà parte un altro grande designer e amico personale di Ive, Marc Newson, che pure ha già lavorato con Apple. “Jony è una figura unica nel mondo del design e il suo ruolo nella rinascita di Apple non può essere sopravvalutato”, ha dichiarato Tim Cook, amministratore delegato dell’azienda di Cupertino.
51 anni, fisico massiccio e sguardo timido, Ive è deciso, ossessivo, paranoico nella cura dei dettagli. Ha una passione per le auto, guida una Bentley Mulsanne nera, una Aston Martin o una Range Rover. Ha realizzato un lavandino per Ideal Standard, e dato consigli al regista J. J. Abrams per costruire la spada laser di Star Wars. E soprattutto ha firmato alcuni dei più grandi successi commerciali della Mela e dei gadget più venduti di sempre, entrati nella storia e nella cultura pop, e nella vita di miliardi di persone in tutto il mondo. Come responsabile dell’interfaccia, ha poi completamente rivisto l’aspetto del sistema operativo iOS e OS X, introducendo un nuovo stile grafico presto ripreso dai concorrenti. Per questo, molti hanno visto in Ive il vero erede di Steve Jobs: il fondatore di Apple e il designer inglese sono stati uniti da una comunanza spirituale, da una passione e una dedizione instancabili. Lo aveva raccontato lo stesso Jobs nel libro di Walter Isaacsson, lo ha confermato più volte la vedova Laurene Powell Jobs.
L’incontro
Abbiamo incontrato Sir Jonathan Ive
due anni fa, al lancio dell’iPhone X, che ha coinciso con la presentazione della nuova sede di Cupertino. Era stanco e visibilmente emozionato: “Ci ho lavorato per otto anni, non c’è stato giorno che non abbia pensato a questo posto”, ci disse, mentre acquistava una decina di t-shirt a tiratura limitata in vendita solo nella Store della Spaceship a 40 dollari l’una.
Apple Park è un’idea folle che diventa realtà, un po’ come l’iMac, l’iPod, l’iPhone, l’iPad, tutti disegnati da Ive, a stretto contatto con Steve Jobs. Il fondatore di Apple è morto il 5 ottobre 2011, ma quattro mesi prima la sua ultima uscita pubblica fu per partecipare a una seduta del consiglio comunale di Cupertino e presentare il nuovo campus. Il progetto è stato sviluppato dallo studio dell’archistar inglese Norman Foster, ma Ive ha supervisionato ogni dettaglio. “Ho disegnato anche le maniglie delle porte”, racconta. Sono curve, di metallo, ma tutto è curvo, e di metallo, vetro, pietra o legno. Curve sono le pareti dello Steve Jobs Theater, curvi gli spigoli dei tetti, i bordi delle panchine, le aperture dei contenitori per gli asciugamani di carta nei bagni. Impressionante la scala del Centro Visitatori, dove si trovano l’Apple Store e la caffetteria, gli unici due spazi aperti al pubblico: il corrimano è composto di blocchi di materiale composito simile alla pietra, senza spigoli, ed è raccordato ai gradini con una curva.
Apple Park è un luogo di lavoro, ma anche un simbolo zen. L’edificio principale ha un’area complessiva di 260.000 m2 e all’interno potrebbe trovare posto l’intero Pentagono. In realtà ospita un prato, un laghetto e alberi da frutta. Albicocchi, come quelli che nell’infanzia di Jobs crescevano proprio lì, intorno a quella che allora era la sede di Hewlett Packard. “E quando cresceranno gli alberi di prugna sarà ancora più bello”, ci dice Ive.
Estetica ed etica
La qualità dei materiali, l’eccellenza delle rifiniture, l’attenzione paranoica per i dettagli sono caratteristiche tipiche dei prodotti Apple, e hanno contribuito in gran parte al loro successo. Dietro il quale ci sono molte ragioni, ma c’è anche una cultura del design che non ha rivali nella storia dell’elettronica consumer. Due sole le eccezioni, che non a caso servirono da modello per Jobs fin dall’inizio della sua avventura: Sony e Olivetti, aziende capaci di costruire nel tempo un linguaggio estetico personale e innovativo. Dove non esiste spazio per l’ornamento e ogni scelta è importante: quello che c’è non può non esserci, e quello che non c’è non deve esserci. Così l’estetica diventa etica, e dal bello si passa al concetto di giusto.
La plastica, ad esempio: fino a poco tempo fa non era infrequente trovarla mascherata da metallo, specie in gadget e apparecchi elettronici economici. Oggi è scomparsa, e anche sui prodotti cinesi più a buon mercato è difficile vedere plastica cromata. Quando presentò l’iPhone 5c, Jonathan Ive disse che era realizzato con una plastica “che non deve chiedere scusa”.
E poi l’alluminio, e il vetro, così tipici di Apple: rifiniti alla perfezione ma sempre in modo che la loro natura sia evidente. Sono scelte che denotano coerenza intellettuale, trasparenza verso chi acquista un oggetto. La sincerità dei materiali è una scelta etica, che rimanda a concetti come la qualità, la durata nel tempo, la possibilità di riutilizzo e riciclo.
Molti hanno ripreso le linee e i materiali di Apple, e non solo dell’iPhone (basti pensare ai computer, dall’iMac colorato fino ai MacBook Air). Nessuno è però riuscito a inventare una cultura del design come quella incarnata da Jobs prima e da Ive poi. Perché si fa presto a dire che il più famoso designer industriale di oggi si è ispirato a un altro leggendario progettista, Dieter Rams, ma le somiglianze tra l’iPod e la radiolina Braun degli anni Settanta non sono casuali, sono rimandi alla stessa matrice intellettuale.
Corsi e ricorsi
Da tempo Jony Ive non saliva sul palco per il lancio di nuovi prodotti, al massimo prestava il suo accento british per il solito video porno-hi tech di Apple. “Anche se non sarò più un dipendente, sarò ancora molto coinvolto - spero per tanti, tanti anni a venire”, ha detto al Financial Times. “Questo sembra un momento naturale e opportuno per fare questo cambiamento”. D’altra parte, quella con Apple era una relazione che durava dal 1990, un caso più unico nel mondo frenetico della tecnologia, e per un curioso corto circuito, con LoveFrom Ive tornerà alla situazione in cui era prima di trasferirsi a Cupertino: alla fine degli anni Ottanta, quando la collaborazione ebbe inizio, lavorava infatti in un’azienda chiamata Tangerine, dove si occupò tra l’altro del design dei primi PowerBook. Fu assunto solo nel 1992, e solo allora si decise a lasciare Londra. Il primo prodotto a portare la sua firma fu l’Apple Newton, un assistente personale innovativo ma di scarso successo. Cinque anni più tardi,Ive era pronto a lasciare l’azienda, ma fu allora che Steve Jobs tornò, e dopo il primo incontro lo nominò vicepresidente del design, avviando una collaborazione che avrebbe riportato la Mela - allora sull’orlo del fallimento - a diventare la prima azienda hi tech del mondo
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Così l’addio del più famoso designer industriale del mondo, custode dell’intera estetica di Apple è uno shock per investitori e clienti, specie nel momento in cui l’azienda si prepara a guardare oltre l’iPhone e affrontare una nuova era di prodotti e servizi. Comprensibilmente, Cook minimizza la notizia, e la definisce la separazione come “un’evoluzione”, segnalando come il gruppo di designer interni è “più forte che mai”. “Possiamo contare sulla stessa squadra che abbiamo avuto per tanto tempo, e abbiamo il piacere di continuare a lavorare con Jony”, ha detto Cook al FT. “Non riesco a immaginare un risultato migliore”. Nessun successore immediato prenderà il titolo di chief design officer, che Ive ricopre dal 2015. Alan Dye, che supervisiona il team di interfaccia utente, ed Evans Hankey, che attualmente guida il design industriale, riporteranno a Jeff Williams, chief operating officer di Apple, che ha avuto un ruolo chiave anche nello sviluppo del Watch.
https://www.lastampa.it/2019/06/28/tecnologia/la-fine-di-unera-dopo-quasi-trentanni-jony-ive-lascia-apple-2ha9hmeYQynbzfWJ9LcefL/pagina.html
2019-06-28 05:07:05Z
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