A pochi giorni dalla sorprendente pubblicazione del nuovo trailer di Death Stranding, il primo progetto da "solista" di Hideo Kojima, una fetta più che abbondante del pubblico videoludico sta già contando le ore che lo separano dal primo incontro con l'ultima opera del game designer giapponese. L'esclusiva PS4 rappresenta per molti versi l'inizio di un nuovo capitolo per l'epopea creativa di Kojima, dopo un percorso costellato di successi e pietre miliari del medium. Proprio per celebrare la carriera dello sviluppatore, e inquadrare al meglio il ragionevole hype scatenato dal suo nuovo titolo, abbiamo deciso di ripercorrere quel percorso tracciandone tutte le principali tappe. Benvenuti in Studio Tour, la rubrica dedicata alle storie di sviluppatori e creativi che hanno dato vita ai capolavori dell'industria.
I primi anni
Nato nell'agosto del 1963 a Tokyo, nel quartiere Setagaya, alla tenera età di 3 anni Hideo Kojima si trasferì ad Osaka con i genitori, che fin da subito furono i principali promotori del suo amore per la cinematografia. Furono infatti loro a stabilire una tradizione imprescindibile, fatta di film visti ogni sera tutti insieme, ma con una particolarità opposta all'educazione standard. Al giovane Hideo, infatti, era vietato andare a dormire prima di aver terminato la visione del film quotidiano. Inoltre le pellicole scelte non erano mai per bambini e, come testimonia lo stesso Kojima, durante l'infanzia vide anche film vietati ai minori, scene di sesso comprese.
Non contenti, al compimento dei suoi dieci anni, passati per lo più all'interno delle mura domestiche, i genitori iniziarono a spingerlo ad andare al cinema da solo. Il permesso veniva concesso a patto di discutere successivamente del lungometraggio visto, analizzandone la direzione e il taglio registico. In quegli anni il futuro director iniziò anche a registrare piccoli corti amatoriali con l'amico Tatsuo, e la sua fida videocamera da 8 millimetri.
Quest'hobby caratterizzò l'adolescenza del ragazzo, che pensava continuamente a come realizzare storie sempre più particolari, chiedendo il permesso per fare viaggi di qualche giorno e raggiungere le location dove girare nuovi corti. La vita scorreva serena, fino all'età di 13 anni, quando sopraggiunse la morte del padre Kingo Kojima. In un'intervista il director dichiarò che fu un momento difficile e triste, ma che in qualche modo aveva rafforzato la sua decisione di diventare un film-maker. Il giovane desiderava fortemente trasformare in lavoro la sua passione, ma la mancanza di scuole di cinema nella zona in cui viveva spense questo sogno sul nascere.
Messa da parte la passione cinefila, Hideo si iscrisse all'università per studiare economia, sotto l' influenza di amici e parenti, che lo spinsero a compiere un cammino verso un impiego classico e inquadrato.
Ma in lui convivevano l'amore per la scrittura e per le grandi pellicole americane, ben lontane, per budget e qualità, dal cinema giapponese. L'interesse verso i videogiochi arrivò con il NES, con cui Hideo si rilassava nelle pause dagli impegni universitari. Al quarto anno del percorso arrivò la decisione: abbandonare tutto per entrare nell'industria del gaming. Le ragioni dietro questa scelta nacquero, neanche a dirlo, per quel sogno mai realizzato di fare cinema. Quella che era nei fatti una console, fu vista come un'altra possibile strada per creare esperienze simili ai film, con la speranza che i videogiochi sarebbero diventati qualcosa di importante nel futuro. Purtroppo, ancora una volta, amici e parenti fecero l'impossibile per spingerlo a non abbandonare gli studi. Solo la madre lo lasciò libero di fare ciò che desiderava della sua vita e, a detta dello stesso Kojima, fu l'unica a non ostacolarlo.
L'approdo in Konami
Il giovane cercò quindi un'azienda a cui presentarsi, e la scelta ricadde su Konami in quanto quotata in borsa, cosa al tempo non molto diffusa. Tanto per farvi un esempio, in quegli anni neanche Nintendo possedeva dei pacchetti azionari.
Nel 1986Hideo Kojima iniziò quindi a lavorare come dipendente di Konami. Erano gli anni della ripresa del mercato dopo il crack economico dell'83, quella che un giorno sarebbe stata ricordata come la golden age del videogame. Una volta iniziato il suo incarico, Hideo incontrò diverse persone che riponevano grandi speranze in questa industria in ascesa: c'erano aspiranti registi come lui, musicisti che non avevano avuto successo, e tanti disegnatori che non erano mai riusciti a pubblicare un proprio manga. Tutti credevano nei videogiochi come occasione di rivalsa per le passioni mai sbocciate.
Tuttavia le difficoltà dell'aspirante film-maker non erano finite, e le sue ambizioni di diventare director si scontrarono con le gerarchie aziendali: dopo aver lavorato su Penguin Adventure come assistente, venne assegnato a Lost World, un progetto cancellato solo sei mesi dopo, fatto che lo destabilizzò non poco. Hideo soffriva inoltre per la mancanza di vere e proprie doti da programmatore, lacuna che lo portò anche sul punto di abbandonare la carriera. Decise di resistere, e ben presto si ritrovò per le mani la sua prima grande occasione.
Konami voleva produrre a tutti i costi un gioco basato sul tema della guerra. Ispirandosi a film come La Grande Fuga, Hideo Kojima iniziò a pensare a un'avventura lontana dai canoni action dell'epoca. La sua prima idea vedeva un prigioniero tentare di scappare da una base nemica, con il rischio di essere trasportato nuovamente in cella se scoperto dai soldati a guardia della struttura. Si delineava un progetto non basato sul combattimento, già difficile per gli standard dell'epoca, ma l'impresa più complicata fu quella di convincere i suoi superiori. Non avendo mai diretto un gioco, Hideo non aveva ancora conquistato la piena fiducia di Konami, senza dimenticare che era tra i dipendenti più giovani dell'azienda, con un concept senza precedenti nel mercato. Stava creando qualcosa di nuovo ed unico, ma non tutti condividevano la sua visione.
Gli ci vollero alcuni mesi per sconfiggere le perplessità dei superiori, e per convincere i dirigenti ad ascoltare le sue idee. Alla fine Kojima ottenne un meeting in cui poter spiegare il proprio concept davanti all'intero team, che finalmente si convinse di avere tra le mani qualcosa di rivoluzionario. Fu così che il 13 luglio del 1987 vide la luce Metal Gear su MSX2, che si rilevò un vero successo.
Giostrandosi con le limitazioni tecniche dell'epoca, che non permettevano più di tre elementi sullo schermo, Kojima decise di basare il focus sul passare inosservati, nascondendosi dai nemici piuttosto che combatterli. Fu una rivelazione, la base di quello che sarebbe diventato il genere stealth.
Konami decise quindi di creare subito un sequel, questa volta per NES, chiamato Snake's Revenge, con l'obiettivo di "attaccare" il mercato occidentale. Il giovane Kojima era però assegnato alla divisione MSX, separata da quella al lavoro sulla piattaforma Nintendo, e pertanto non fu coinvolto direttamente nello sviluppo. Inoltre, per sua stessa ammissione, non aveva alcuna influenza all'interno dell'azienda, e sarebbe stato impossibile anche solo tentare di collaborare al progetto. Come prevedibile, quando il titolo arrivò sul mercato non raggiunse i risultati del capitolo precedente.
Ormai Hideo Kojima stava per decidere di lasciarsi alle spalle quell'esordio eccellente, ma un incontro fortuito cambiò la sua prospettiva. Durante un viaggio in tremo ebbe infatti l'occasione di scambiare quattro chiacchiere con un membro del team che aveva lavorato a Snake's Revenge, che gli disse candidamente: "Non penso che questo sia un vero sequel. Dovresti occupartene tu". Fu quell'ammissione così diretta che rimise in moto la voglia del creativo di riprendere in mano la serie. Questa volta Konami decise di sostenere il giovane game designer affidandogli un budget dignitoso, e anche libertà fuori dalla norma.
Ad esempio, ogni settimana, il team si addobbava con abiti militari, per passare alcuni giorni sulle montagne nei pressi della sede aziendale, per progettare e giocare altri titoli a tema. Stava prendendo corpo l'approccio fuori dagli schemi che sarebbe poi diventato uno dei segni distintivi di Hideo Kojima. Nell'estate del 1990 arrivò sul mercato Metal Gear 2: Solid Snake, che segnò un'evoluzione nelle meccaniche del primo capitolo. Il giocatore aveva a disposizione nuove abilità, come la possibilità di accovacciarsi, strisciare attraverso i condotti dell'aerazione e distrarre le guardie battendo il pugno sulle superfici. Anche in questo caso arrivarono elogi ed ottimi risultati commerciali.
Nonostante il successo, Kojima accusò il peso di alcune problematiche legate allo sviluppo. In particolare il dialogo continuo con i programmatori che, non condividendo appieno la sua visione, tentarono di alterare pesantemente le sue idee. Fu questo aspetto, frustrante e mal sopportato da Hideo, a spingerlo a pianificare un engine proprietario per avere il pieno controllo durante i lavori. I successivi giochi a cui lavorò, ossia Snatcher e Policenauts, furono proprio il frutto di sperimentazioni tese ad aumentare la propria influenza su tutti i membri del team.
Nuove responsabilità
Nel 1998 venne promosso a manager di Konami, e gli venne data la possibilità di selezionare i propri collaboratori. Avrebbe scelto uomini talentuosi, pronti a condividere la sua visione, e dotati di un particolare estro creativo. Un identikit del genere venne visto, ad esempio, in Yoji Shinkawa, conosciuto nel ‘93. Fu aperto ufficialmente il cantiere per la nascita di Metal Gear Solid, progetto figlio delle innovazioni tecnologiche di un periodo nel quale l'industria si stava muovendo verso la terza dimensione. Il team di Kojima creò un engine 3D da zero, mentre Shinkawa iniziò a ideare personaggi e modelli poligonali.
Metal Gear Solid fu un successo globale, un capolavoro per quell'epoca e per gli anni a venire. Il comparto narrativo offriva una complessità inedita per l'industria, e il titolo conquistò grandi vendite ed elogi in tutto il mondo.
Eppure Kojima non era perfettamente consciente del risultato che aveva raggiunto. La consapevolezza di aver ottenuto la fama mondiale arrivò nei vari appuntamenti promozionali fuori dal Giappone. Ma anche se quello fu un momento magico per il creativo, Hideo non riuscì a goderselo in pieno. Gli giunse infatti voce che la madre, l'unica ad averlo sostenuto agli esordi, non parlava mai del suo lavoro con vicini e conoscenti, come se ne provasse vergogna.
Konami, al contrario, era fiera del lavoro di Kojima, e mise a disposizione del suo dipendente un grande budget per realizzare il seguito di Metal Gear Solid su PlayStation 2. Con questi mezzi sostanziosi, Hideo si diresse ad Hollywood per chiedere la collaborazione del compositore Harry Gregson-Williams. Era il coronamento dei suoi sogni di bambino: stava calcando i grandi set che da sempre avevano condizionato la sua vita.
Nel novembre del ‘98 Kojima aveva già iniziato lo script della nuova avventura, e durante lo sviluppo diede a ognuno dei membri del team il compito di scrivere almeno un'idea originale al giorno, con la promessa che le migliori sarebbero state inserite nel gioco. Lo spray congelante che il giocatore utilizza per disinnescare le bombe, ad esempio, fu introdotto proprio grazie a questa precisa strategia.
Fu così che due anni dopo, durante l'E3 di Los Angeles, venne presentato Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty,, e il pubblico presente alla fiera andò in estasi.
I drammi delle cronache mondiali misero però il team di sviluppo in estrema difficoltà. Il primo concept prevedeva infatti il coinvolgimento di nazioni come Iraq e Iran, ma venne cambiato dopo l'inizio dei conflitti con queste nazioni. Se questo stravolgimento intacco però solo le fasi iniziali dei lavori, il vero dilemma arrivò nell'11 settembre del 2001, con l'attentato alle torri gemelle. Questa tragedia portò a dei tagli profondi delle fasi finali del gioco, e lo stesso Kojima pensò di cancellarlo. Alla fine venne convinto dall'affetto dei fan, soprattutto americani, che lo spinsero a non abbandonare la sua opera. Tuttavia, una parte consistente di contenuti venne rimossa, in accordo con i legali di Konami.
Il successo
Metal Gear Solid 2 vide la luce nel novembre del 2001, e stravolse subito le aspettative dei giocatori con una carica di sorprese imprevedibili. La prima fu che il protagonista, al contrario di quanto visto nei trailer, non era Solid Snake ma Raiden, un personaggio creato per dare offrire al pubblico una nuova prospettiva sul precedente antieroe.
I giocatori si trovarono quindi a vestire i panni di un agente alle prime armi, modellato in base ai risultati di un'indagine fatta da Konami su un campione di donne non giocatrici. I fan più affezionati accolsero in malo modo Raiden, ma al contempo impararono un mantra che avrebbe poi caratterizzato lo stile di Hideo Kojima: "tradire le aspettative per sorprendere in modo inaspettato".
Dopo l'ennesimo successo mondiale, la fama del director crebbe ulteriormente, anche in ambienti esterni al videogame. Ad esempio venne citato in una lista di Newsweek tra le dieci persone più interessanti ed influenti del 2002, e fu proprio quel picco di celebrità ad addolcire la madre nei confronti della sua carriera. Lo stesso Hideo raccontò che, nonostante i 70 anni suonati, la donna gli chiese per la prima volta di provare i suoi giochi. I risultati dei due Metal Gear Solid consolidarono la posizione del designer all'interno di Konami, ma Kojima voleva lasciare la serie in mano al suo team, e l'espediente della richiesta di idee quotidiane era volta proprio a stimolare la creatività dei suoi collaboratori, sebbene nessuno si fece avanti per sostituirlo. Prese pertanto la decisione di concludere la serie Solid con una trilogia.
Nel 2004 venne pubblicato Metal Gear Solid 3 Snake Eater e ancora una volta il creativo di Konami prese tutti contropiede, ambientando l'avventura durante il periodo della Guerra Fredda, considerata l'epoca d'oro dello spionaggio.
Non a caso in questo capitolo si trovano molti omaggi ai grandi film della serie di James Bond, anche nel tema principale curato alla perfezione dallo stesso compositore del secondo episodio. Spinto dal desiderio di sconvolgere le aspettative dell'utenza, l'autore modellò la storia attorno al personaggio di Big Boss, l'antagonista per antonomasia dai tempi dell'MSX. L'aggiunta delle meccaniche di sopravvivenza, della giungla come ambientazione per buona parte degli eventi, e di una narrativa che ribaltava i concetti classici di bene e male, resero il terzo capitolo un'esperienza formidabile. Cedendo tuttavia ad alcune critiche, Kojima lavorò a una versione modificata del titolo, Subsistance, che rifiniva la telecamera ed alcuni aspetti legati al comparto online.
Nel frattempo, il primo aprile del 2005, venne fondata la Kojima Production, evoluzione del team nato ai tempi del passaggio su PlayStation, con lo scopo di alleggerire il peso dei compiti amministrativi sulle spalle di Kojima.
La Next-Gen e l'amore per PSP
Avendo concluso la trilogia secondo i suoi desideri, l'autore cercò nuovamente di fare un passo indietro dalla sua serie di punta, senza però riuscirci. I fan erano desiderosi di conoscere l'epilogo della grande avventura: cosa era successo dopo i fatti del secondo episodio? Quale sarebbe stato il destino di Raiden e Solid Snake? Il director comprese che il suo lavoro non era affatto finito, e diede quindi inizio ai lavori su Metal Gear Solid 4, che avrebbe dovuto sancire il passaggio di testimone in favore di Shuyo Murata. Ma tra messaggi carichi d'affetto che imploravano Konami di non permettere il cambio, e perfino alcune minacce di morte, Kojima fu costretto a riprendere il ruolo di direttore creativo.
Si avvicinava il passaggio alla next-gen e a PlayStation 3, e a tal proposito il director condivise in un'intervista una sua opinione: "Creare un gioco è come dar vita ad un film. Hai un set, e cerchi di renderlo più affascinante o migliore. Ma un set resta solo un set, e se vuoi fare una giungla, vanno bene anche degli alberi finti. Penso che la prossima generazione porterà i creatori a pensare di espandere il set, o renderlo più bello. Ma facendo così non ci saranno vere evoluzioni. Io non voglio costruire un set, voglio creare da zero gli ambienti. Quindi, se do vita ad una giungla, non inserisco alberi finti, metto una forma di vita con un programma specifico per farlo crescere."
Queste idee, legate a un uso più profondo dell'ambiente di gioco, videro la luce con Metal Gear Solid 4: Guns of the Patriots, pubblicato 12 giugno del 2008. Nell'epilogo delle vicende di Snake e Raiden, il gameplay venne ulteriormente affinato, dotando l'eroe di Shadow Moses di una tuta mimetica altamente tecnologica, in grado di interagire con ogni superficie.
Ai tempi dell'annuncio, prima di svelare questa meccanica inedita, sugli schermi della presentazione venne mostrata la scritta "No place for Hideo", per simboleggiare il passaggio di testimone a Murata. La slide poi mutava, lasciando cadere la lettera finale e trasformandosi nel messaggio "nessun posto per nascondersi". Attorno a questo concetto venne sviluppato il quarto capitolo, che si apriva ad ambientazioni più ampie, in un Medio Oriente soleggiato e sostanzialmente privo di angoli bui in cui sparire.
Nonostante il successo di pubblico e critica, senza considerare il desiderio mai realizzato di abbandonare la serie che aveva segnato la sua carriera, il director era conscio di non aver ancora concluso la sua opera. Serviva un ultimo tassello fondamentale, ma prima di parlarne è necessario fare un passo indietro. Dal 2005 la serie di Metal Gear Solid era sbarcata anche sulla nuova console portatile di Sony, PSP, e nell'anno successivo arrivò anche una nuova avventura che continuava le vicende viste in Snake Eater.
Big Boss ormai godeva di un proprio filone, apparentemente parallelo a quello di Solid Snake. Il punto cardine della saga portatile fu il capitolo Peace Walker. Hideo Kojima avrebbe dovuto concludere il suo lavoro con il quarto capitolo, ma vide che il team era in profonda confusione durante lo sviluppo, e decise di coordinare personalmente i lavori.
Peace Walker fu un ottimo successo di critica, ma le vendite furono poco soddisfacenti, soprattutto per Konami, che nel frattempo utilizzava le doti di Kojima per supervisionare altri team in forza all'azienda. Ne fu un esempio MercurySteam, che si occupò del rilancio della serie Castlevania con Lords of Shadow, oppure lo spin-off di Metal Gear ad opera dei Platinum Games, che sfruttava il nuovo Raiden visto nel quarto capitolo, ben più maturo rispetto al soldato inesperto dell'epoca PS2.
Gli anni del Fox Engine
Nel 2010 il rapporto tra l'azienda ed il suo director di maggior spessore sembrava un sodalizio impossibile da sciogliere, ma qualcosa stava iniziando a cambiare: per primo ci fu l'interesse del publisher nipponico verso il crescente mercato mobile che, soprattutto in Giappone, appariva come un settore rigoglioso in cui investire. Sul fronte console, il guadagno economico era risicato, anche a causa di serie annuali come Pro Evolution Soccer, che avevano perso il primato del settore in favore della concorrenza.
Durante quell'anno iniziò la fase di pre-produzione del quinto capitolo delle serie di Kojima, che nel frattempo aveva iniziato a sviluppare con il suo team il FOX Engine, un nuovo motore grafico che avrebbe permesso di approcciarsi alla next-gen nel migliore dei modi.
Il 30 agosto del 2012 venne annunciato Metal Gear Solid: Ground Zeroes, un prequel dell'episodio principale, ancora in lavorazione sotto il nome in codice di "progetto ogre". Ground Zeroes venne reso disponibile due anni dopo, ed era chiaro che la creazione dell'engine aveva sottratto molto tempo ai ragazzi di Kojima Productions, che non pubblicavano un nuovo capitolo già da sei anni.
Silent Hills e la crisi con Konami
Le sorprese, tuttavia, non erano finite. Nonostante la mole di lavoro, Hideo prese in carico la rinascita di un'altra serie storica della sua azienda madre. Durante il Gamescom del 2014 si presentò sul palco per annunciare, con una manciata di parole, il progetto P.T., disponibile in quel momento stesso per il download su PS4.
Nel giro di qualche giorno arrivò la rivelazione: la sigla P.T. stava per Playable Teaser, e quella piccola ma curata avventura horror, altro non era che l'annuncio di Silent Hills, titolo che avrebbe dovuto segnare la rinascita del brand, in collaborazione col regista Guillermo del Toro e l'attore Norman Reedus.
Fu un assoluta bomba. I fan non credettero ai loro occhi: una delle serie horror per eccellenza riportata in vita dal creativo più talentuoso di Konami. Purtroppo, le cose precipitarono poco tempo dopo. Le cause dietro la rottura del sodalizio tra Kojima e Konami sono tutt'oggi avvolte dal mistero, ed è noto che il director abbia firmato alcuni accordi di riservatezza sulla questione.
La platea, ancora in attesa del quinto capitolo di Metal Gear Solid, cominciò a notare una serie di segnali piuttosto strani. Nella Legacy Collection della serie il nome di Hideo Kojima era stato completamente rimosso, così come in vari shop online. Fu una svolta improvvisa e inspiegabile, anticipata qualche settimana prima dal ridimensionamento del ruolo del creativo in Konami. Poi si susseguirono altre voci, che volevano Kojima Productions esclusa dai lavori interni dell'azienda, e che parlavano di un abbandono di Hideo al termine del progetto. A peggiorare la situazione, arrivarono una serie di rumor che riportavano la cancellazione di Silent Hills.
Fu l'entourage di Guillermo del Toro a confermare la fine del progetto, esattamente il 26 aprile del 2015. Konami confermò la notizia il giorno dopo, rimuovendo P.T. dal PlayStation Store nelle ore successive, ed affermando che il nuovo corso dell'azienda si sarebbe concentrato sul mercato mobile. In questo clima decisamente teso, il primo settembre dello stesso anno Metal Gear Solid V: The Phantom Pain vide la luce.
Ancora una volta, Kojima riuscì a stupire tutti: l'avventura con protagonista Big Boss offriva ai giocatori una libertà di approccio mai vista nella serie, sostenuta da dinamiche open world inedite. C'era inoltre una campagna dai toni dark profondi, che ispezionava la psiche dei tanti personaggi della saga, e il gioco riprendeva molti dei concetti visti in Peace Walker, opportunamente ampliati e posti al centro dell'esperienza. The Phantom Pain rappresentava un'occasione di recuperare tutte le buone idee formulate nel tempo e, con un grande taglio cinematografico, riusciva a posizionarsi perfettamente all'interno della saga. Un finale segreto, infatti, collegava il capitolo addirittura agli esordi su MSX, in uno splendido schema circolare che riassumeva un trentennio di carriera.
Arrivarono gli elogi della stampa e il successo commerciale ma, andando oltre i record, la realtà dei fatti era particolarmente triste. Se il finale segreto rappresentava il colpo di genio, le vicende all'interno del gioco non avevano un vero epilogo. In poche parole il titolo arrivò nel mercato con dei tagli evidenti, molto probabilmente causati delle pressioni del publisher sul team di sviluppo.
Una volta terminato il suo contratto, Hideo Kojima abbandonò Konami, l'azienda che aveva permesso alla sua carriera di sbocciare. Il 15 dicembre successivo, il CEO di Sony annunciò una partnership con Kojima Productions, ora diventato un team indipendente, e nell'estate dello stesso anno venne annunciato Death Stranding, nuova IP in esclusiva per PlayStation. Come per Peace Walker, il director sfruttò lo sviluppo come occasione di rivalsa, richiamando a sé Norman Reedus e Guillermo del Toro dopo la cancellazione di Silent Hills.
In attesa di scoprire cosa ci riserverà il futuro, sappiamo solo che Hideo Kojima, ancora oggi e nonostante i suoi impegni, nel suo rituale quotidiano si ritaglia sempre qualche ora di tempo per guardare un film nuovo ogni giorno. La passione per il cinema in lui è sempre viva, ma nella sua storia non c'è l'ombra del rimpianto. "Guardando indietro, sono felice di non aver iniziato una carriera nell'industria cinematografica. Non sarei riuscito a creare i film che avrei voluto, invece amo i giochi che creo".
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2019-06-02 08:56:00Z
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