Oppo l’ha chiamata Ultra Vision Camera System, e per fortuna il numero di camere è limitato a tre, quelle che servono per andare a coprire un range di focali ottimali. Siamo davanti allo stesso 16-160 mm già usato sul primo Reno 10x, con tre lenti “prime” che coprono otticamente i 16mm, i 24mm e i 160 mm.
Tutte le focali intermedie vengono gestite tramite interpolazione o crop, da 16 mm a 24 mm ci pensa il sensore montato sull’ottica super wide, da 24 mm a 160 mm ci pensa il sensore principale mentre oltre i 160 mm, arrivando ai famigerati (e molto interpolati) 60x interviene il sensore montato sul tele periscopico.
Il sensore che gestisce la camera ultrawide è il Sony IMX586, 48 megapixel da 1/2 pollice davanti al quale è montato un obiettivo a 6 elementi F2.2 di apertura. Per il tele invece il gruppo ottico è praticamente lo stesso del Reno 10x, un sensore da 13 megapixel montato dietro l’obiettivo periscopico della Corephotonics, azienda israeliana poi comprata da Samsung. Anche l’obiettivo periscopico, stabilizzato, è probabilmente lo stesso, stessa apertura F3.0, stesso stabilizzatore ibrido ottico e elettronico e stesso piccolo sensore da 1/3.44”.
Oppo parla comunque di seconda generazione di zoom ibrido 10x, perché secondo lei grazie ad un controller migliorato dello stabilizzatore lo zoom si riesce a gestire in modo più fluido e continuo tra le lenti, senza stacchi.
E questo dovrebbe permettere di utilizzare lo zoom anche per fare video, fino a 30x, passando da un obiettivo all’altro. Il passaggio “seamless” tra un sensore e l’altro e tra le diverse ottiche è garantito anche da una accurata calibrazione cromatica dei sensori, sia come resa sia come temperatura colore (dove l’abbiamo già sentito questo?). Secondo Oppo lo zoom può essere usato senza problema anche per gli scatti notturni, grazie al nuovo Ultra Night Mode di terza generazione.
Tra le altre correzioni software c’è anche quella della deformazioni dei volti nel caso di fotografie fatte con il super wide, e c’è anche l’Ultra Macro Mode. Quando un soggetto si trova a meno di 10 cm, la modalità macro si attiva e permette di scattare foto ad una distanza di 3 cm dal soggetto. Foto che possono essere fatte a 48 megapixel, usando tutto il sensore, oppure con uno zoom ibrido fino a 8x, un vero macro-ingrandimento seppur a risoluzione ridotta. Alla fine è un crop.
La vera novità riguarda però il sensore principale, e gli appassionati del marchio Sony si staranno chiedendo per quale motivo sul nuovo Xperia non è stato usato questo sensore. Stiamo parlando dell’IMX 689, un sensore da 48 megapixel che per una serie di caratteristiche è unico nel suo genere.
Debutta infatti su questo sensore la tecnologia 2x2 On-Chip Lens (OCL), dove gruppi di 4 pixel oltre a essere ricoperti con lo stesso filtro colore usano pure la stessa lente.
Per capire le differenze, e perché ci troviamo davanti a quella che è una rivoluzione sostanziale possiamo fare il confronto con l’IMX586 che Sony ha usato invece come sensore abbinato all’obiettivo Ultra Wide.
L’IMX586 è un sensore da 48 megapixel e mezzo pollice che, grazie all’ormai abusato pixel binning, può gestire i pixel a gruppi di quattro per aumentare la sensibilità. Ogni pixel, tuttavia, ha una singola lente dedicata che indirizza la luce verso il centro. 48 milioni di pixel, 48 milioni di minuscole lenti.
L’IMX689 è diverso, perché sono sempre 48 milioni di pixel, ma davanti ad ogni gruppo di 4 pixel c’è una sola grande lente, e questo riduce in modo considerevole il crosstalk, l’interferenza.
Il sensore è grande, grandissimo: sono 1/1.43’ (11.2mm), poco più piccolo di quello usato da Samsung sul Galaxy S20 Ultra ma mentre in quel caso i singoli pixel erano da 0.8 µm e si potevano raggruppare a gruppi di 9, creando un pixel da 2.4µm, qui i pixel sono da 1.12µm e raggruppati in gruppi di quattro diventano da 2.24µm.
Il sensore dell’Oppo ha una risoluzione più bassa di quello del Samsung, non sono 108 megapixel, ma sicuramente ha più dinamica. In ogni caso non ci sentiamo di parlare in questo caso di 48 megapixel perché con i quattro pixel sotto un’unica lente questo sensore lavora quasi sempre a 12 megapixel. Solo quando si usa lo zoom i fotorecettori vengono gestiti singolarmente.
Il vero vantaggio offerto da questo sensore è però legato a tre diversi aspetti, due dei quali arrivano per la prima volta su uno smartphone: il Dual Native Iso e l’Omni-Directional Phase Detection Autofocus.
Il terzo è il 100%-pixel focus, ovvero ci troviamo di fronte ad un sensore dove ogni pixel funziona anche come punto di rilevamento di fase per la messa a fuoco.
Esistono già smartphone con un sensore dual pixel AF, ad esempio gli iPhone o la passata generazione di Galaxy S10 e Note 10, ma per la prima volta questa tecnologia viene adottata su un sensore così grande e con un numero di pixel così elevato.
Anche qui si può fare il confronto con l’IMX586: quest’ultimo adotta un sistema autofocus a ricerca di fase creato mascherando una serie di pixel sulla superficie.
Funziona, ma funziona bene solo se c’è luce altrimenti i pixel, molto piccoli, faticano a fornire informazioni corrette per la messa a fuoco.
Sull’IMX689 ogni gruppo di 4 pixel, posti sotto la stessa lente, funziona come pixel per la messa a fuoco. E funziona anche meglio di ogni altro sistema Dual Pixel, perché se nel dual pixel classico si usano due pixel vicini sul piano orizzontale (vedi foto sotto), usando le combinazioni dei 4 pixel si può gestire il piano orizzontale, quello verticale e quello diagonale. Qui sotto abbiamo evidenziato, usando due colori, come vengono gestiti a coppie o singolarmente i pixel per l'autofocus.
La tecnologia è di Sony, e grazie a questo particolare pattern 2x2 OCL (On Chip Lens) Sony assicura una messa a fuoco perfetta, anche con pochissima luce e anche di oggetti molto piccoli.
L’altra novità introdotta da Sony su questo sensore è il Dual Native Iso. Oggi tutti i sensori hanno una sensibilità ISO definita “nativa”. Con sensibilità nativa si intende quel valore di ISO per il quale la fotocamera non applica una amplificazione del segnale analogico (quello letto dal fotorecettore) prima di convertirlo in digitale, il “bit” che poi viene registrato.
E’ quel valore per il quale c’è il miglior rapporto segnale rumore, quello per il quale l’immagine esce più pulita e con il minimo livello di rumore. Il sensore dell’Oppo ha due valori di sensibilità nativa, uno pensato per quando scatta con poca luce e uno pensato per quanto scatta con tanta luce.
Un sistema simile viene già usato dalle camere professionali: la GH5S di Panasonic, ad esempio, ha i due valori nativi di 400 ISO e 2500 ISO e l’utente può selezionarli a seconda della scena.
C’è infine un aspetto, legato alla fotografia, che pare assolutamente interessante, almeno a parole. Secondo Oppo il Find X2 Pro è il primo smartphone al mondo che supporta la cattura a 12 bit, quindi molto più informazioni.
Lo può fare tuttavia solo sul file RAW, e sebbene sulla carta questa cosa può apparire come rivoluzionaria è bene fare una precisazione. Prima di tutto non si sta parlando di informazioni legate al colore, perché un file RAW contiene solo dati sulla luminosità: successivamente, tramite la demosaicizzazione e basandosi sulla struttura del filtro, l’immagine a scala di grigi diventa a colore. I 12 bit o 14 bit fanno riferimento al campionamento del valore di luminosità rilevato dal fotorecettore, ma se questo elemento, perché piccolo come quello di uno smartphone, non riesce a rilevare un determinato range di luminosità la cattura si può fare a 12, 14 o 16 bit ma le informazioni che non ci sono non ci sono.
La vera domanda da chiedersi è se nonostante la pipeline di cattura a 12 bit l’Oppo Find X2 Pro continuerà a produrre fotografie in sRGB a 8 bit o se inizierà a scattare in Wide Color Gamut. Con tutta la pubblicità fatta al display sarebbe un vero peccato se non lo facesse.
No solo foto, perché c’è spazio anche per il video: niente 8K per fortuna, lo smartphone registra al massimo in 4K a 60 fps, ma Oppo parla di 10 bit Live HDR. Il particolare sensore può effettivamente registrare i dati del gruppo di 4 pixel a sensibilità diverse, raccogliendo quindi automaticamente una lettura a dinamica più estesa.
Nel caso di Video Oppo parla di Wide Color Gamut e di 10 bit video storage, quindi per il video è probabile che la registrazione sia effettivamente a 10 bit HDR in HEVC.
Tra tutte queste cose, tecnicamente validissime, a nostro avviso quella più importante è il supporto a Camera X di Google. Camera X, dove la X sta per “cross”, risolve il più grosso problema degli smartphone Android lato fotografia, ovvero l’impossibilità di sfruttare le funzioni specifiche dei singoli smartphone al di fuori dell’app del produttore.
Oggi funzioni come l’HDR o l’Ultra Macro Mode non possono essere usate da Instagram, da Facebook e dalle altre app che usano la fotocamera, questo perché ogni produttore ha una sua implementazione specifica di certe funzioni che le API di Google ovviamente non possono conoscere. Grazie a Camera X i produttori possono sviluppare una serie di estensioni che permettono, alle librerie di Google, di sfruttare sistemi proprietari.
Questo vuol dire che se un’applicazione ha bisogno della modalità notte, su Oppo userà il Night Mode di Oppo e sui Pixel il Night Mode dei Pixel. Oggi in una situazione simile non può usare nulla, e sappiamo bene quando sia limitante questo. Camera X è al momento in fase alpha, sono poche le app che lo sfruttano, quasi tutti cinesi: WeChat e TikTok le due più famose. Ma siamo certi che questo sarà il futuro della gestione delle fotocamere su Android.
Tantissima carne al fuoco, ma come sempre più del lato tecnico è importante vedere come viene gestito il tutto, perché, come diceva una vecchia pubblicità, la potenza è nulla senza controllo. E lo faremo appena scadrà l'embargo: una settimana da oggi.
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2020-03-06 10:45:53Z
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